DANIELE BARZAGHI

Italian Investment Editor

“Nella mia vita mai avrei pensato di fare il wealth manager” esordisce Francesco Cenerini, specialista di clientela private per Allianz Bank Financial Advisors. “Ero stato cresciuto, quasi generato, per diventare commercialista, la professione di mio padre; ed ero anche una giovane promessa, avendo superato l’esame a 24 anni, appena dopo la laurea in Economia e Commercio, ma a 29 anni ho compreso che quel destino, pur idealizzato negli anni dell’adolescenza, era il sogno di mio padre, non il mio”. “Aveva aperto il suo primo studio nel 1968. Io iniziai nel 1994, fino al 2001. Avevo due studi e guadagni molto più alti dei miei coetanei. Insomma, quando decisi di rifiutare tutto questo e iniziando da zero la professione dell’allora promotore finanziario, mia moglie prese una bella fregatura, un ‘gancio’ come diciamo a Bologna” ironizza il professionista. “La professione del commercialista era diversa da come mio padre l’aveva conosciuta. Fu così che accettai la proposta di un amico di entrare in Bnl Investimenti (acquisita nel 2004 dall’allora RasBank, diventata in seguito nel 2007 Allianz Bank Financial Advisors, ndr). Con mio papà non ci siamo parlati per due anni avevo rinunciato alla sua successione professionale – e in 20 anni non mi ha mai mandato un cliente. Partii davvero da zero”. “Nella nuova professione trovai il rapporto umano con la clientela che mi era mancato fino a quel momento e superai la fase di depressione, anche viste le tante sfide che la nuova vita comportava” prosegue il wealth manager, oggi cinquantunenne. “Passavo da una professione tutelata, con un solido ordine professionale, a quella che allora appariva una banda di pionieri. Ricordo ancora come folle la prima convention di 3.000 persone cui presi parte”. “Il mio mentore di allora mi disse fin da subito: non badare ai numeri ma alle persone, ai clienti. Altrimenti finisce tutto subito” ricorda Cenerini, mostrando
il saggio da lui scritto anni dopo, “Lo stregone”, in cui racconta nove categorie di clienti (il tennista, il generoso, il politologo, l’immortale, il sadomasochista, l’entusiasta, l’esclusivo, l’ammiccante e il tenerone). “Ormai quando incontro i nuovi clienti do questo mio scritto al posto del biglietto da visita. La finanza è bellissima se la sai maneggiare. Il mercato è imprevedibile, checché se ne dica. Il nostro compito è piuttosto inspirare un comportamento evoluto nel cliente”. “Di anno in anno è cresciuta in me la consapevolezza del mio ruolo. Mattoncino dopo mattoncino mi sono disegnato la professione addosso. Inizialmente non
mi sentivo questo vestito. Ma ho sempre amato mettermi alla prova, come faccio oggi, forse in una crisi di mezza età, partecipando a gare di 15 ore da ironman”. “Lo sport offre metafore infinite e ne ho sempre fatto grande uso coi clienti. Una volta ne portai un gruppo in un rifugio in montagna, scalando con le pelli insieme a sciatori professionisti di altissimo livello. Un’altra volta affittai un castello per un evento da 12 persone, metà già clienti e metà potenziali, chiamando a parlare campioni olimpionici” enumera il professionista, prendendo le foto dalle mensole. “Questi incontri servono più a me che a loro. È così che è nato ad esempio
il festival ‘Fin.Estate’ che tengo ogni anno con esponenti di rilievo della finanza e 100 imprenditori. Una giornata senza un argomento fisso. Semplicemente si dibatte, spogliandosi ognuno della propria casacca professionale”. “È così che intendo la professione del wealth manager. A Bologna è giusto comportarsi da bolognese” sottolinea. “I clienti di fascia private qui sono imprenditori che si sono sporcati le mani, gelosi del loro rapporto col territorio, con la comunità e intenzionati a mantenere un profilo poco appariscente” prosegue descrivendo la realtà emiliana. “Sono i clienti migliori: sanno che il rendimento si ottiene attraverso la fatica. Il problema è che, qui come nel resto di Italia, è in atto un enorme passaggio generazionale, tra chi si è guadagnato il capitale e chi non sa neanche perché sia nato” aggiunge, con il gusto della battuta sagace. “La prima generazione, forte di una propria indiscussa professionalità, non ha problemi a riconoscere la tua e a delegarti la gestione dei patrimoni. Lo stesso non accade con chi possiede fortune non sudate. Ho ad esempio interrotto il rapporto con due calciatori di Serie A: ventenni che guadagnavano cinque milioni di euro all’anno e che erano pronti a dismettere in un attimo le polizze stipulate per la loro vecchiaia perché era uscito il nuovo modello di macchina sportiva di lusso”. “Un giovane collega può prendere qualunque tipo di cliente, in fase di costruzione di portafoglio. Alla mia età posso permettermi di fare selezione. Di decidere con chi voglio lavorare” chiarisce Cenerini. “Il nostro lavoro deve essere svolto da persone con un rapporto sereno col denaro. Gli avidi è meglio che facciano altro. A me, personalmente, basterebbe molto meno di quanto ho. Il denaro fa promesse che è solito non mantenere. Lanostra professionalità deve essere sempre il filtro imprescindibile”. “Un livello massimo di professionalità non significa soltanto avere forti competenze tecniche ma saper vivere la clientela, aggiornandosi in ogni campo, dalla scienza ai risultati di calcio della domenica. Ed è fondamentale circondarsi di persone positive: ciascuno di noi è la somma delle tre-quattro persone che vediamo più spesso nella nostra vita quotidiana. Io vivo di entusiasmi: quando passa la passione è il momento di smettere e fare altro”.